Il World Thrombosis Day (WTD) che si è celebrato giorno 13 ha ricordato a tutti la dimensione e i problemi della malattia tromboembolica venosa, terza patologia cardiovascolare più comune dopo l’ischemia miocardica e l’ictus cerebrale. La trombosi implica la presenza di un coagulo di sangue che ostruisce o rallenta il circolo sanguigno in un’arteria o in una vena; in alcuni casi il coagulo può staccarsi e spostarsi in un organo vitale con conseguenze molto gravi, potenzialmente letali: 1 persona su 4 nel mondo muore per condizioni causate dalla trombosi. In Italia si stimano circa 50.000 nuovi casi l’anno, con due gravi complicanze: la trombosi venosa profonda, condizione in cui i coaguli di sangue si formano a livello delle vene profonde della gamba, principalmente, ma anche della coscia, dell’inguine o delle braccia, e l’embolia polmonare, quando i coaguli di sangue si staccano dal vaso di origine e, attraverso il circolo sanguigno, arrivano a ostruire l’arteria polmonare. Boston Scientific ha promosso una campagna europea per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e ha dato il via a un “conto alla rovescia” di 14 giorni. Obiettivo: sottolineare l’importanza del tempo; 14 giorni costituiscono infatti la finestra temporale ideale per il trattamento efficace, quando il trombo è ancora acuto.
«Abbiamo imparato – dice il prof. Antonio Gaetano Rampoldi, radiologo Interventista, struttura complessa di Radiologia Interventistica, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda Ca’ Granda di Milano – cose importanti sulla trombosi. La prima riguarda il tempo: il tempo è vita, perché dobbiamo intervenire in un paio di giorni, massimo due settimane, per essere in grado di ottenere i risultati migliori. La seconda è che è possibile trattare pazienti con trombolitici, in piccole quantità, anche dopo recenti episodi emorragici». «Mi piace molto – aggiunge il dott. Domenico Baccellieri, chirurgo vascolare, Uo di Chirurgia Vascolare e Vein Center, IRCCS ospedale San Raffaele di Milano – il messaggio del World Thrombosis Day: “Keep life flowing”, ovvero continuare a far scorrere la vita. Una trombosi può portare alla morte o a malattie disabilitanti; possiamo prevenire la formazione di coaguli di sangue e ripristinare il normale flusso sanguigno per continuare a far scorrere la nostra vita». «Da quando siamo partiti con l’esperienza del trattamento della patologia venosa sia in acuto sia in cronico – è il parere del dott. Mattia Silvestre, radiologo interventista, Uoc di Radiologia Vascolare e Interventistica, ospedale Cardarelli di Napoli – abbiamo capito una cosa: non bisogna temere di intervenire anche nei confronti dei pazienti molto giovani. Il concetto di attendere la naturale evoluzione di un trombo, che possa cronicizzarsi, è secondo noi datato. Abbiamo gli strumenti e gli skill formativi adatti per intervenire, anche con pazienti giovani, nell’arco temporale giusto che ci permette un buon risultato terapeutico». E il dott. Mario Galli, cardiologo, Uos Emodinamica, Interventistica Cardiovascolare e Terapia Intensiva Cardiologica, Ao Ospedale Sant’Anna di Como: «Il trattamento della patologia tromboembolica, in alcune situazioni, è un trattamento che risolve situazioni cliniche complesse. Mi viene in mente un caso: una donna all’ottavo mese di gravidanza, arrivata in ospedale con una trombosi venosa acuta, complicata da un’embolia polmonare che ha richiesto un trattamento farmacologico complesso, in relazione al fatto della necessità di evitare il rischio emorragico conseguente ai trattamenti anticoagulanti e trombolitici e in più associato a un trattamento farmaco-meccanico allo scopo di ridurre il pattern trombotico, risolvere il problema di insufficienza respiratoria che si era manifestato e cercare di ridurre il rischio per la paziente e del successivo parto. Il trattamento è stato efficace, ha coinvolto un’equipe multidisciplinare e ha portato poi alla possibilità della paziente di partorire dopo alcuni giorni dal nostro trattamento».
Infine la prof.ssa Marzia Lugli, chirurgo vascolare, International Center of Deep Venous Surgery, dipartimento Cardiovascolare, Hesperia Hospital di Modena: «Sono convinta che ciò che dobbiamo davvero cambiare, se vogliamo ridurre il burden della malattia tromboembolica venosa, è la formazione. Abbiamo ancora una formazione insufficiente sulla TVP e sulla malattia venosa in generale e questa è una mancanza di conoscenza che sta portando oggi ad un approccio mediocre alla malattia. Abbiamo già nelle nostre mani tecniche molto potenti che possiamo applicare con ottimi risultati e ciò di cui abbiamo davvero bisogno è la formazione e sapere come diffondere tali tecniche». Maria Pia Risa Fonte “La Sicilia” del 25-10-2020