Matteo non è ancora arrivato. E il cielo sopra Bronte si fa plumbeo. Il feroce sole di montagna si nasconde dietro nuvoloni che minacciano pioggia. Ma qui, in quest’interminabile pomeriggio di dolore, pioveranno soltanto lacrime. Tant’è che una mamma premurosa s’affretta a portare un fazzoletto bianco, di quelli del corredo buono, alla figlioletta impettita accanto all’altare: “Che ne devi fare di quelli di carta, c’è anche l’arcivescovo, pare brutto. Prendi questo che è meglio”. Una premurosa premonizione, dentro una chiesa che scoppia di rabbia e sudore. E fuori tutto il paese. Centinaia, migliaia di persone per salutare l’ultimo volo dell’”angioletto”: Matteo Galati, 13 anni, accoltellato a morte domenica in una notte di follia adolescenziale. Alle quattro del pomeriggio dentro la Madonna del Riparo non c’è spazio per muoversi, si suda e si sospira. Fuori una ventina di palloncini bianchi, agitati da un venticello rassicurante e fastidioso allo stesso tempo. Entra una suora vestita di bianco, si sistema in fondo. Entra un’anziana vestita di nero, non riesce a sedersi fin quando una ragazza dagli occhi di giada non le cede il posto. Entrano sei bambine, con le mani incollate l’una all’altra. Anche tra i banchi il paese è piccolo e la gente mormora. Si parla di due famiglie distrutte, di genitori che vivono l’incubo delle uscite serali, delle parole pesanti del sindaco. Il chiacchiericcio si mischia alla litania di alcune donne che recitano il Rosario, fin quando una voce nascosta (che sembra quasi arrivare dall’alto) gracchia al microfono: “Vi ricordo che siamo sempre in chiesa. E vi invitiamo a pregare per Matteo…”. L’agorà si zittisce e le donne col Rosario prendono il sopravvento, ancora più supplichevoli. Forse è arrivato Matteo. Ma la “ola” che si alza e si riabbassa dai sedili certifica che è un falso allarmismo. Entra l’arcivescovo di Catania, monsignor Salvatore Gristina, accolto dal parroco don Vincenzo Bonanno e da tutti i preti del paese. Poi il sindaco Pino Firrarello e il presidente della Provincia Giuseppe Castiglione, simboli istituzionali di una Bronte affranta. Che no sa darsi un perché. Intanto lo straziante corteo funebre partito da via Messina arranca sulla ripida salita che porta in chiesa, preceduto da un lenzuolo con scritto “In cielo brilla una stella in più”. Quando il feretro arriva alla porta te ne accorgi anche se non lo vedi. Lo capisci. Dal gonfiore degli occhi delle ragazza dagli occhi di giada, dall’affanno dell’anziana vestita di nero, dai sospiri della suora vestita di bianco, dalle mani – sempre più strette – delle bambine che si tengono per mano. Eccolo. Matteo è arrivato. Alle 17,10 entra la candida bara ricoperta da gigli e rose bianche, sulle spalle di amici e parenti. Incollati i genitori, papà Rosario e mamma Nunziata ( che stringe forte un cuscino con la foto del suo adorato figlio), i fratelli Seby e Antonio. In prima fila c’è anche Andrea, l’altro tredicenne ferito in quella notte maledetta e ieri “fuggito” dalle corsie dell’ospedale Cannizzaro. Per essere per l’ultima volta accanto all’amico di mille giochi. Un lunghissimo applauso, il lento incedere fino ai piedi dell’altare. Il pianto inconsolabile della madre viene sopraffatto dalle note dolcemente stonate della chitarra del frate. Canta, il coro, comincia la funzione. L’arcivescovo Gristina, nell’omelia, parla di “un grave fatto di violenza, che non può avere l’ultima parola”. Si rivolge ai genitori, alla scuola, alla chiesa e alle istituzioni: “Sappiamo stare vicini ai nostri ragazzi?”. Uno sguardo ai ragazzini sull’altare, cita uno striscione che ha letto all’ingresso del paese: “Matteo Galati, senza di te niente sarà più come prima”. Rivoltandolo in positivo: “Avete condiviso con Matteo tanti momenti, ora non chiudetevi in voi stessi ma camminate in una vita nuova”. Una frase che dedica anche al sedicenne accusato per l’omicidio: “Biagio, anche per te dev’esserci una possibilità di vita nuova”. Dopo l’eucarestia, parla il sindaco Firrarello. In lacrime: “Assumiamoci le nostre responsabilità, il primo a doverlo fare sono io che non sono riuscito a fare tutto quello che dovevo. Ma adesso sforziamoci, tutti assieme, per dare ai nostri giovani una coscienza del rispetto”. Ma l’apice del “lacrimometro” si raggiunge quando Sara e Alessandra, le compagne di classe della 2° G, leggono le letterine “per il nostro angelo che è salito in cielo”. Parole semplici, scritte nei foglietti con le righe larghe. Toccano il cuore, chiudono con il lucchetto dell’innocenza un cerchio di follia e di violenza. Ma sì, Matteo le avrà ascoltate. Sciogliendosi in uno di quei suoi meravigliosi sorrisi.
Mario Barresi fonte “La Sicilia” del 05-08-2010