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IL “PIZZO” SUL VINO DELL’ETNA PER IL CLAN

30 Aprile 2015
in Cronaca, Prima pagina, Provincia di Catania, Randazzo
Tempo di lettura: 3 minuti
IL “PIZZO” SUL VINO DELL’ETNA PER IL CLAN
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z op sbPizzo e vino. No, nessun errore e nessun riferimento ai locali della movida catanese. Il riferimento è agli affari condotti dalla premiata ditta “Eredi di Paolo Brunetto & co. “, ovvero la stessa che teneva sotto scacco le aziende del settore vitivinicolo che operano a Castiglione di Sicilia e nelle zone vicine. In verità i “signori” in questione avevano anche trovato il modo di diversificare la loro attività estorsiva, imponendo il pagamento della cosiddetta “assicurazione” al titolare di un supermercato Despar e a quello di un cantiere edile, ma delle sette vittime accertate nel corso del blitz “Santabarbara” (fatto scattare all’alba di ieri dai carabinieri della compagnia di Randazzo: quattordici gli arresti eseguiti) ben cinque si distinguevano nella produzione e nella vendita del vino: Planeta, Tornatore, Mannino, Vagliasindi, Valenti. Coi titolari di queste aziende gli eredi del defunto boss Paolo Brunetto, deceduto nel 2013, avrebbero preso contatti un paio di anni fa. E l’avrebbero fatto alla solita maniera: danneggiamenti, interi filari tagliati, furti e bottiglie incendiarie lasciate davanti ai cancelli delle aziende…. Tutto quello che serviva per convincere la vittima designata a «cercarsi n’amicu ‘ppi subitu» e «mettersi a posto». Ciò secondo le proprie possibilità economiche. Già, perché stando a quanto riferito nel corso della conferenza stampa di ieri dal procuratore Giovanni Salvi (affiancato dalla sostituta procuratrice Iole Boscarino) e dal comandante provinciale del’Arma, Alessandro Casarsa, gli uomini guidati da Pietro Oliveri e da Vincenzo Lomonaco hanno dato dimostrazione di conoscere perfettamente lo stato di salute delle aziende alle quali, in buona sostanza, è stato imposto un servizio di “guardiania”. Non a caso le vittime di cui si parla sarebbero state costrette a versare una mazzetta “una tantum” compresa fra i mille e i dodicimila euro (una sorta di pagamento per la stipula del contratto), quindi, ogni mese, una “retta” di cinquecento euro. In un caso, poi, pare che Vagliasindi sia stato costretto ad assumere la moglie di Giuseppe Lomonaco, referente nella zona del clan rivale dei Cinturino: questo avrebbe determinato qualche frizione con quelli del clan Brunetto, vicino ai Santapaola-Ercolano, che il 4 aprile 2013 hanno incontrato lo stesso Giuseppe Lo Monaco per definire la questione. Alla fine pare che la donna abbia mantenuto il posto di lavoro, ma sembra pure che in quell’occasione si sia deciso, per il quieto vivere, che da quel momento non sarebbero più state ammesse ingerenze nella gestione delle vittime che operavano nel settore vitivinicolo. Vittime che, eccezion fatta in qualche modo per Tornatore e per i Benanti di Planeta (questi vittime di una tentata estorsione), sempre stando a quanto riferito in sede di conferenza stampa non hanno collaborato con i militari dell’Arma, i quali, da parte loro, hanno svolto le loro indagini grazie alla collaborazione dei dipendenti delle aziende vessate. Tornando al summit, fu comunque, a prescindere dagli esiti sopra riferiti, una riunione poco fortunata. Ciò perché, mentre si discuteva di questo genere di affari, arrivarono i carabinieri e identificarono tutti i presenti, comprendendo subito che qualcosa che bolliva in pentola c’era, eccome. Al punto tale da avviare un servizio di intercettazioni telefoniche e ambientali che avrebbe poi permesso, nel corso dei mesi, di chiarire tanti passaggi relativi alle attività illecite seguite dal gruppo di Oliveri e di Vincenzo Lomonaco. Fra queste, è stato riferito, anche il traffico di sostanze stupefacenti, con spaccio al dettaglio affidato ai pusher del gruppo nelle zone di Giarre, Castiglione di Sicilia e centri limitrofi. Perché di solo “pizzo”, a volte, non è facile campare…
Concetto Mannisi Fonte “La Sicilia” del 30-04-2015

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