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MAFIA, A RANDAZZO VINCE LO STATO DEMOLITE LE STALLE DEL CLAN SANGANI

7 Marzo 2024
in Cronaca, Randazzo
Tempo di lettura: 3 minuti
MAFIA, A RANDAZZO VINCE LO STATO DEMOLITE LE STALLE DEL CLAN SANGANI
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Si sgretola in una fredda e uggiosa giornata di inizio marzo il potere criminale del clan Sangani: una ruspa ha abbattuto, una dopo l’altra, le due stalle abusive che in contrada Dagala Longa hanno custodito per più di 30 anni le armi e i segreti della famiglia mafiosa che in paese ha esercitato pressioni, violenze e logiche criminali. Nell’agro di Randazzo – mentre i mezzi pesanti sono a lavoro sotto l’occhio attento delle forze dell’ordine (polizia e carabinieri) che coordinano le operazioni di demolizione e dei commissari prefettizi, dopo lo scioglimento del Comune per mafia – fa capolino un arcobaleno. E un timido raggio di sole si affaccia quasi a rendere omaggio a quella che sarà indubbiamente ricordata come una giornata storica per la comunità e per un territorio per troppo tempo imprigionato dalla mafia. Il clan Sangani, legato alla famiglia catanese dei Laudani, dal 2022 a oggi è stato azzerato da inchieste e arresti e ieri ha incassato un nuovo duro colpo, forse quello definitivo. Nell’appezzamento di terreno e all’interno dei manufatti confiscati, ormai abbandonati e fatiscenti, a lungo sono state nascoste armi e chissà che non siano state quelle che hanno ucciso Antonio, Pietro e Vincenzo Spartà rispettivamente padre e fratelli di Rita, la donna-coraggio che ha più volte denunciato Cosa Nostra. La demolizione delle due strutture abusive è senza alcun dubbio una vittoria dello Stato: è un segnale forte per dire che lo Stato c’è, che è la legalità a vincere sull’illegalità. A questo si aggiunge la volontà di recuperare il tempo perduto alla luce delle lungaggini burocratiche che si trascinano dal 1989, quando per la prima volta vennero sequestrate le stalle appartenenti ai Sangani ed emesse le prime ordinanze di demolizione – ben tre tra il 1989, il 1990 e il 1992 – mai rispettate.

«Gli adempimenti portati avanti dall’Ente in più di 30 anni di storia non sono mai arrivati a conclusione – spiega il commissario prefettizio Isabella Giusto – oggi lo Stato c’è ed è presente come è evidenziato nel provvedimento di scioglimento. Questo era un fabbricato abusivo che andava assolutamente demolito e la spinta dello Stato è stata forte in questo senso: noi siamo qui per dare un finale a un atto dovuto nei confronti dei cittadini e del territorio. Perché è trascorso tutto questo tempo? Il perché sta nelle cose. Noi non possiamo analizzare 35 anni di storia, ma possiamo dire che questo è l’effetto di un atteggiamento che non è andato nella direzione in cui noi stiamo andando oggi: il punto non è fare gli atti, perché le ordinanze di demolizione c’erano, ma non sono mai state attuate, ma applicare le norme fino in fondo». «Quello che è importante sottolineare è la spinta propulsiva arrivata dalla prefettura di Catania – aggiunge il viceprefetto Alfonsa Caliò – che ha messo fine a questa vicenda. Già lo scorso dicembre l’amministrazione aveva bandito una gara per individuare la ditta che doveva eseguire la demolizione, ma era stato dato un termine troppo breve per la presentazione delle offerte.

Proprio a causa del poco tempo a disposizione nessuna ditta si era presentata e noi come commissari abbiamo dato la possibilità di ampliare i tempi per la presentazione delle domande, sono stati invitati i 24 operatori economici e la ditta con il prezzo più favorevole è ovviamente quella che adesso si è occupata delle demolizioni. È un momento storico per la comunità». Fino a novembre del 2022, infatti, le stalle erano ancora utilizzate dagli uomini del clan per il ricovero di capre, cavalli e maiali animali tutti non tracciati che con un’operazione di bonifica sono stati portati via e affidati alle cure dei veterinari dell’Asp. Ieri, la pioggia non ha fermato i mezzi meccanici che hanno raso al suolo i due vecchi manufatti rispettivamente di 150 e 300 metri quadrati. Per un nuovo capitolo che guarda al futuro. Francesca Aglieri Rinelli Fonte “La Sicilia” del 06-03-2024

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