«Se non mi fossi chiamato Giuseppe Firrarello e non fossi stato senatore della Repubblica, questo processo non sarebbe mai esistito». Ha ancora l’amaro in bocca Pino Firrarello, a 24 ore dall’ordinanza del gip Antonio Caruso che ha archiviato nei suoi confronti l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa a proposito degli appalti per la realizzazione del nuovo ospedale Garibaldi dii Nesima. Il gip ha depositato il documento l’altroieri, 59 pagine fitte fitte (scritte su entrambi i lati) che cancellano per il senatore del Pdl l’ombra di aver favorito il clanSantapaola. In sostanza il gip ha riconosciuto che Firrarello partecipò ad un incontro con un imprenditore che sapeva essere sostenuto dalla mafia, senza però aiutarlo concretamente. Erano stati gli stessi pubblici ministeri Francesco Puleio e Agata Santonocito a presentare al gip la richiesta di archiviazione sia per il sindaco di Bronte che per altre due persone Giuseppe Intelisano detto «Pippu ‘u niuru», esponente di spicco del clan Santapaola (assolto al processo per gli appalti del Garibaldi) e Maurizio Di Gati. Anche nei loro confronti il tribunale aveva chiesto la trasmissione degli atti al pm per esercitare l’eventuale l’azione penale in relazione al reato di turbata libertà degli incanti aggravata dall’art. 7 (l’aver agito cioè con metodi mafiosi). Mentre, però, per il senatore il gip, ha prima stralciato la sua posizione e poi archiviato l’accusa di concorso esterno nell’associazione mafiosa, per gli altri due il giudice ha rigettato la richiesta di archiviazione ed ha disposto che il pm formuli entro dieci giorni l’imputazione coatta per il reato di turbata libertà degli incanti aggravata dall’art. 7. In realtà la vicenda processuale di Firrarello non si è “estinta” con l’archiviazione dell’accusa di concorso esterno al 416 bis. L’esponente del Pdl, infatti, il 13 aprile 2007, era stato condannato dal Tribunale a due anni e sei mesi di reclusione per turbativa d’asta e pende, adesso, in corte d’appello il processo di secondo grado. I giudici del Tribunale al processo non gli avevano contestato il capo d’imputazione relativo al concorso esterno nell’associazione mafiosa Santapaola e avevano disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per valutare l’ipotesi di contestare nuovi capi d’accusa al sindaco di Bronte una volta esaminati altri elementi, per esempio le intercettazioni ambientali in cui un esponente di spicco del clan Santapaola, Giuseppe Intelisano dettio «Pippo ‘u niuru», avrebbe parlato del senatore. Questa documentazione è stata riesaminata dai pm che hanno svolto una nuova attività d’indagine, hanno sentito le parti ed hanno deciso, alla fine anche per l’inutilizzabilità di alcune intercettazioni, di chiedere l’archiviazione di Firrarello (difeso dagli avvocati Angelo Pennisi e Carmelo Peluso) in ordine all’accusa del grave reato. Per il gip che nella motivazione dell’ordinanza ha riportato ampi stralci della sentenza del Tribunale, «Firrarello non si è prodigato concretamente in alcun modo in favore di Romagnoli (e del clanSantapaola che lo sosteneva) e non è logicamente sostenibile ritenere che abbia potuto pensare che la sua condotta consistita nel mero accettare un incontro e formulare una promessa non mantenuta, meritasse una retribuzione peraltro destinata al clan Santapaola. È da escludere che Firrarello abbia con coscienza e volontà fornito un contributo materiale al rafforzamento del clan Santapaola». L’incontro sotto accusa è quello che il senatore ebbe a Roma il 18 settembre 1997 (su input di Giuseppe Mirenna) con Giulio Romagnoli, imprenditore impegnato nelle gare d’appalto per i lavori al Garibaldi, per la cui impresa “tifava” il clan Santapaola. «Firrarello quando incontrò Romagnoli – scrive il gip – era consapevole che costui era a capo di un’importante impresa direttamente sostenuta dal clan Santapaola ma non contribuì con la sua condotta a rafforzare il clan Santapaola». Condotta che, per il giudice, «è risultata espressione di una mera, generica disponibilità dell’indagato ad accogliere la richiesta proveniente dal clan (in particolare da Giuseppe Mirenna), di incontrare l’imprenditore e non già manifestazione di una concreta disponibilità a soddisfare l’effettivo interesse dell’associazione mafiosa, ossia quello di aggiudicare al Romagnoli l’appalto del Garibaldi».
Carmen Greco fonte “La Sicilia” del 20-06-2009