Nella capitale del Colorado, al Denver Health il reparto di neurochirurgia, da ottobre del 2024, è guidato da un trentanovenne siciliano di Bronte (Catania): il chief of neurosurgery Fabio Grassia, uno dei primari più giovani al mondo. Negli ultimi cinque anni ha eseguito oltre mille interventi chirurgici, svolgendo al contempo l’incarico di assistant professor all’Università del Colorado, dove da settembre sarà professore associato. Lui commenta dicendo: «L’America mi ha visto e mi ha dato una chance. Li non interessa la provenienza ma la competenza». Ripercorriamo questa storia dall’inizio. Professore, quando e perché ha deciso di fare il medico? «A 10 anni, dissi a mia madre: “Voglio fare il medico. Voglio aiutare la gente”. Ero attratto da lei infermiera e da mio padre barbiere, Pina e Alfio, da come lavoravano prendendosi cura degli altri. Da loro, miei primi docenti di medicina, ho imparato che le persone hanno tutte la stessa dignità e vanno ascoltate, comprese e aiutate». Altri ricordi legati all’infanzia e all’adolescenza? «Ero paffuto e portavo occhiali spessi, fino alle scuole medie inferiori, durante la ricreazione, ero il bersaglio preferito degli altri bambini. Ma trasformavo il dolore in forza di volontà, in armatura dell’anima. Loro giocavano a calcio e io leggevo del cervello umano. La scuola rimaneva il mio rifugio e i libri i miei alleati». Ci parli del suo percorso di studio e formazione. «Ho conseguito la maturità classica a Bronte (2004), la laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Catania (2013), la specializzazione all’Università statale di Milano (2019) e anche l’abilitazione alla professione negli Usa (2019). Da universitario ho fatto un breve periodo di ricerca a Boston (2012), al Brigham and Women’s Hospital della Harvard Medical School, e da specializzando un tirocinio al Seattle Children’s Hospital (2017), dove ho avuto quella chance che mi ha portato nell’America che sognavo da bambino». Qual è stata la chance di cui parla? «A Seattle ero tirocinante con il professore Jeff Ojemann, neurochirurgo di fama internazionale, che si accorse di me. Per il “Giorno del Ringraziamento” mi invitò a casa sua e conobbi il fratello Steven, suo collega, col quale parlammo della professione. Mi propose di andare da lui a Denver, dopo la specializzazione. Ero incredulo, avevo soltanto 31 anni. A giugno 2020 arrivò la fellowship, un’assunzione annuale, all’Anschutz Medical Campus, dell’Università del Colorado, ad Aurora, dove operavo con il professore. Nel frattempo, collaboravo con lui e altri chirurghi, a titolo gratuito, al Denver Health, un trauma center no profit partner dell’Ateneo, dove a settembre 2021 mi assumevano come neurochirurgo, col rango di assistant professor (docente universitario di primo livello). Sono direttore della neuro-oncologia chirurgica e, da ottobre 2024, primario di neurochirurgia, a 38 anni. Dal prossimo mese sarò professore associato, alla facoltà di medicina dell’Università del Colorado di Aurora, dove già insegno, che è collegata con Denver».
Sembra che la fortuna l’abbia rincorso e abbracciato… «C’è stato un momento in cui avevo perso ogni speranza. A 18 anni, esami di maturità in corso, mi sono fratturato il braccio destro, avevo un nervo reciso, la mano paralizzata e avrei potuto perderne la funzionalità. Ero distrutto. Dopo l’intervento, mia madre riaccese in me la speranza: “Se puoi sognarlo, puoi farlo” (Tom Fitzgerald), mi disse. Sognai ancora, dopo due anni di dura riabilitazione riacquisii la piena funzionalità della mano. Mi sento fortunato ma anche audace, raccolgo i frutti di tanti sacrifici personali e dei miei genitori». Racconti pure, prosegua… «Non provengo da una famiglia ricca. Sia a me sia a mio fratello Danilo non mancava nulla, ma studiare costava. Il fine settimana, aiutavo papà: passavo dai manuali universitari al rasoio, a rifinire la barba a un cliente. Durante l’estate, da Catania col primo volo economico andavo a Londra, a perfezionare l’inglese, mi mantenevo facendo il cameriere, l’addetto alle pulizie e il modello». Torniamo a Denver. Quanti interventi ha eseguito? «Arrotondo per difetto, mille nel quinquennio 2020-2025, di cui circa 700 al cervello, per tumori, traumi e altro». In ospedale usate l’intelligenza artificiale? «Ce ne avvaliamo, ma soltanto per finalità burocratiche». Ogni tanto si concederà una pausa… Ha hobby? «Palestra e balli caraibici: salsa e bachata». I suoi preferiti di cinema, letteratura e musica? «Appassionato di film horror, stregato da Il ritratto di Dorian Gray (Oscar Wilde), affascinato dai Queen». Professore, l’America l’ha vista, ma l’Italia si è accorta di lei? «No. Qui, per il mondo scientifico forse sono troppo giovane e non ho altri requisiti. Non aggiungo altro». Luigi Putrino Fonte “La Sicilia” del 24-08-2025