La Corte d’Assise di Caltanissetta ha condannato all’ergastolo Vincenzo Sciacca, 34 anni di Bronte. Secondo i giudici, Sciacca è stato uno degli esecutori materiali dell’omicidio dell’imprenditore di Valguarnera Domenico Calcagno. Confermato l’impianto accusatorio nei confronti di Sciacca, emerso nell’ambito di diverse indagini. Calcagno era stato assassinato a colpi di arma da fuoco, nel maggio del 2003, a pochi metri dalla sua abitazione. Le prove emerse dalle indagini della Dda nissena si sono incrociate con quelle della Dda di Catania. Prove contestate dai difensori di Sciacca, gli avv. Luca Cianferoni e Francesco Antille. Nella requisitoria finale, il pm Roberto Condorelli ha ricordato che Calcagno venne punito per essersi intromesso nei nuovi assetti delle famiglie mafiose sulla gestione delle estorsioni. Sciacca fu uno dei componenti del commando di sicari, assieme a Vincenzo Montagno Bozzone, considerato il capo della cosca di Bronte, legato alla famiglia Santapaola e al capo mafia di Caltagirone, Francesco La Rocca, che gli avrebbe ordinato il delitto. Bozzone è stato condannato a 30 anni di reclusione con il rito abbreviato. La Rocca è stato condannato all’ergastolo assieme agli altri due presunti mandanti, il reggente della famiglia di Enna, Raffaele Bevilacqua, e Alfio Mirabile, 44 anni, imprenditore di Catania. A carico di Sciacca, arrestato due anni fa, erano state le celle di aggancio del suo cellulare, che ne avevano confermato la presenza a Valguarnera nei 3 giorni precedenti il delitto e quando venne commesso. Calcagno, legato alla cosca del boss di Enna, Gaetano Leonardo, si era presentato per chiedere il pizzo al cantiere della Ira Costruzioni in territorio di Nicosia, dove era in costruzione il lotto Vigneta della strada Nord Sud. Da poco scarcerato, non sarebbe stato a conoscenza dei nuovi assetti di Cosa Nostra e dell’accordo raggiunto dalla famiglia Santapaola con la Ira Costruzioni. Il clan etneo riscuoteva il pizzo su tutti i cantieri e provvedeva a versarne una quota ai rappresentanti provinciali di Cosa Nostra A conferma delle dichiarazioni dei pentiti, la Corte ha ritenuto validi gli elementi raccolti dagli inquirenti. Tra questi l’Opel Vectra utilizzata per l’agguato, abbandonata nelle campagne e data alle fiamme, alla quale vennero apposte le targhe di una Punto noleggiata poche settimane prima da Sciacca, che ne aveva poi denunciato il furto.
Giulia Martorana fonte “La Sicilia” del 18-12-2009