Si è ucciso in una cella del carcere di Bicocca mettendosi una busta di plastica in testa e inalando il gas di una bomboletta che gli serviva per alimentare un fornello da campeggio. Al terzo tentativo Antonio Gaetano Di Marco, 42 anni, è riuscito a togliersi la vita. Imprenditore di Bronte nel settore della produzione di calcestruzzo, Di Marco condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti ed estorsione si trovava a Bicocca da un paio di mesi per partecipare al processo d’appello. Ieri sera, con altri detenuti aveva assistito all’incontro Italia – Paraguay e poi era tornato nella sua cella dove era il solo detenuto. A questo punto avrebbe messo in atto il suo progetto di morte. Si è ficcato sotto le coperte per non essere ripreso dalle telecamere che lo inquadravano 24 ore su 24 e si è suicidato. Il suo cadavere è stato scoperto ieri mattina. Sul caso, la Procura etnea ha aperto un’inchiesta affidata al sostituto procuratore Lina Trovato. Ieri pomeriggio l’autopsia ha confermato che si è trattato di suicidio. L’uomo, prima di ammazzarsi, avrebbe lasciato tre lettere, due indirizzate ai parenti, una al suo avvocato, Francesco Antille, adesso sequestrate e agli atti dell’inchiesta. A Di Marco, ritenuto affiliato al clan Montagno Bozzone di Adrano e per questo finito agli arresti nel 2008 nell’ambito di un’operazione antimafia per traffico di droga e estorsioni chiamata “Trash”, erano stati confiscati di recente tutti i beni, compresi quelli intestati ai familiari. Pare che quest’ultimo provvedimento avesse contribuito ad aumentare lo stato depressivo nel quale viveva tanto che, ristretto in un primo momento in regime di 41 bis (il carcere duro) a Bicocca, era stato poi trasferito a Livorno in una struttura detentiva specializzata per questo genere di problemi di salute. “A Catania aveva tentato due volte il suicidio – ha rivelato il suo avvocato – una prima volta impiccandosi, un’altra tagliandosi le vene”. Sulla sua compatibilità o meno con i regime carcerario esistono due diverse e opposte conclusioni e, da poco, Di Marco era stato visitato da un altro medico, consulente da parte della difesa, per un’ennesima valutazione del suo attuale stato di salute. “Nelle carceri di Catania negli ultimi cinque anni – ha reso noto l’associazione “Ristretti orizzonti” sono morti 7 detenuti, di cui 4 suicidi. In Italia è il ventinovesimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno: 25 per impiccagione e 4 per inalazione di gas. Per altri 3 decessi, causati da inalazione di gas, le intenzioni suicide sono dubbie”. Di Marco, cugino del boss Francesco Montagno Bozzone, l’uomo che Santo Mazzei aveva indicato come rappresentante della commissione provinciale di Cosa Nostra era, tra l’altro, stato condannato e poi assolto per un tentato omicidio quello di Gabriele Belletto Grillo avvenuto a Bronte nel 2007. Poi era stato arrestato nell’ambito dell’operazione “Trash”. Sulla sua morte è intervenuto anche il deputato del Pd Giovanni Burtone che ha invitato il ministro alla Giustizia, Angelino Alfano “a intervenire subito: L’ennesimo suicidio di un detenuto avvenuto a Catania, dimostra la gravità della situazione nelle carceri italiane. Non sono più rinviabili – ha dichiarato – interventi per migliorare la condizione di vita di quanti scontano una pena. Il governo per il momento si è dimostrato molto attivo nelle promesse e negli annunci anche su temi delicati come questo”.
L’avvocato Francesco Antille “Perché gli avevano lasciato in cella gas e busta?”
“Presenteremo – ha preannunciato l’avvocato di Antonio Gaetano Di Marco, Francesco Antille – una formale denuncia al ministero della Giustizia per sapere per quali ragioni, un detenuto che aveva già tentato due volte il suicidio nello stesso carcere non fosse stato privato degli strumenti atti a compiere tale gesto. Il sistema processuale attuale, con la previsione di lunghissime carcerazioni cautelari, con l’adozione di trattamenti differenziati e di confische totalizzanti, che impongono una attenta analisi riflessiva al fine di vagliarne l’effettiva legittimità giuridica e procedurale è riuscito, purtroppo e ancora una volta, a fabbricare un altro morto ed altri orfani”. “Vogliamo sapere – ha aggiunto il legale – che si accerti esattamente l’ora del rinvenimento del cadavere e si chiarisca quando e come furono avvisati i familiari ed eventualmente il difensore; se nel fascicolo personale del detenuto risultano annotati i pregressi tentativi di suicidio; se tale fascicolo personale è stato trasmesso (e quando) dal carcere di Livorno a quello di Catania; quali ordini di servizio sono stati eventualmente impartiti ( e a chi) in ordine all’assunzione della responsabilità circa la custodia e la vigilanza carceraria di un soggetto portatore di tali precedenti; per quali ragioni egli non fosse stato privato degli strumenti atti a compiere tale gesto; quali terapie, controlli specialistici ed accertamenti clinici sono stati disposti in ambito carcerario per fronteggiare la possibile reiterazione dell’intento soppressivo nonché la depressione di cui egli era incontestatamente affetto; chi ha stabilito e per quali motivi la compatibilità del regime carcerario con la patologia da lui contratta durante la custodia intramuraria; con quale diagnosi, prescrizioni di terapie e controlli, è stato licenziato dalla struttura ospedaliera ove fu ricoverato in via d’urgenza il 10 giugno 2010 a seguito di un malore manifestatosi durante una udienza presso la Corte di appello penale di Catania”.
Carmen Greco, fonte “La Sicilia” del 16-06-2010