PER SMONTARE IL CLAN DUE ANNI DI INDAGINI
Il racket mafioso delle estorsioni che spadroneggiava nei territori di Bronte, Maletto e Maniace è stato decapitato da un’operazione dei carabinieri resa possibile dalla decisione di un gruppo di imprenditori taglieggiati di dire no al pizzo. Un risveglio di coscienze che ha suscitato il plauso bipartisan di ogni parte politica. Le indagini si sono protratte per circa due anni, e sono state condotte in stretta collaborazione conla Dda etnea. Quindici gli arresti operati, affiliati secondo l’accusa alla famiglia catanese dei Mazzei, meglio noti come “i carcagnusi”. Il capocosca era il pregiudicato Francesco Montagno Bozzone. Tra le ditte che si sono ribellate ce n’è anche una del Nord Italia impegnata nella raccolta dei rifiuti solidi urbani. Gli arrestati risponderanno, oltre che delle estorsioni, anche di traffico di droga e di reati connessi alle armi da fuoco. Non è più soltanto “primavera palermitana”. La bella stagione, infatti, quella della legalità, torna a illuminare anche questa parte di Sicilia, in cui è gradevole scoprire che la gente comune, il cittadino, non intende piegarsi più a cuor leggero alle vessazioni dei prepotenti. Che si chiami rifiuto di pagare il “pizzo” o voglia di denunciare chi dei reati più svariati si macchia, poco importa. La reazione sollecitata a più riprese dal prefetto, dal questore, dal comandante provinciale dei carabinieri, da tutti coloro i quali auspicano che Catania e la sua provincia tornino ad essere luogo se non proprio sereno, quanto meno vivibile ( oggi non possiamo dire che lo sia), c’è stata e continua ad esserci. Come dimostra l’operazione condotta ieri dai carabinieri della Compagnia di Randazzo, sfociata nell’arresto di 15 persone accusate di mafia – sarebbero affiliati ai “carcagnusi” – e, manco a dirlo, di estorsione. Quattro gli episodi di “pizzo”, tutti nella zona di Bronte, emersi nel corso dell’indagine: due a danni di società che avevano appalti con enti pubblici ( una pagava, l’altra no ), due a privati cittadini che – e questo il dato più importante – non si sono creati scrupolo alcuno quando è arrivato il momento di denunciare. Si tratta della titolare di un centro benessere che per settimane ha subito danneggiamenti ( di vetrine e insegne ) e telefonate minatorie con cui le si consigliava di cercarsi un amico in grado di garantirle la protezione; e del titolare di un salone multimarche per la rivendita di autovetture, che si è ritrovato tra le mani bottiglie incendiarie, messaggi inquietanti, richieste di denaro per “regalini natalizi”, fino all’ultimo tentativo in cui alcuni “picciotti” hanno chiesto all’esercente di prelevare dall’autosalone un mezzo dal valore consistente che sarebbe stato pagato con appena 6000 euro. Ebbene, sia in un caso sia nell’altro, le due vittime designate non soltanto si sono rifiutate di pagare, ma hanno pure denunciato i propri aguzzini ( contrariamente ai titolari delle società per lo smaltimento dei rifiuti che avevano fronteggiato diversamente queste richieste, (come si può leggere in altra parte del giornale), che ieri sono finiti in manette. Certo, per il momento si tratta di episodi isolati. Ma che vanno ad aggiungersi ad altri più o meno fragorosi come quello del geometra Andrea Vecchio e della sua Cosedil. O di tanti altri piccoli o grandi imprenditori che hanno capito – come ieri riferiva il colonnello Maurizio Zuccher – che oggi forse “conviene di più, anche dal punto di vista economico, affidarsi alla legge piuttosto che alla criminalità”. Certo, ci sarà anche da tutelare questa gente che chiede aiuto alle forze dell’ordine ed evitare casi come quelli denunciati attraverso il nostro giornale, appena pochi giorni fa, direttamente da Palagonia (“noi stiamo chiudendo, gli estortori sono in libertà e passeggiano davanti ai nostri negozi”). Dallo Stato, se permettete, è il minimo attendersi questo. Perché la primavera diventi presto estate…
Concetto Mannisi fonte “La Sicilia” del 26-03-2008