I primi giorni di agosto per la Sicilia e gli appassionati di storia rappresentano l’anniversario dei “Fatti di Bronte” del 1860, quando una sequenza impressionante di odio di classe e di violenza si abbatté sulla cittadina, in coincidenza con lo sbarco dei “Mille”. I contadini si rivoltarono contro i borghesi chiamati “cappeddi” e ne uccisero 16, prima che Bixio soffocasse nel sangue la rivolta, uccidendo simbolicamente degli agitatori presi a caso, dando orecchio agli odi e alle calunnie che in quei giorni ribollivano. Ma perché a Bronte il popolo fu così violento? Cosa ha distinto la voglia di riscatto dei brontesi rispetto a quello del resto della Sicilia? Quali implicazioni sociali si celavano dietro questo episodio che la storia per molto tempo ha colpevolmente dimenticato? Lo chiediamo al sindaco di Bronte, sen. Pino Firrarello, nato a San Cono ma che, vivendo da decenni nella città del pistacchio, dove si è sposato, ha coltivato un sincero amore verso questa città e un grande interesse per la sua storia.
«I brontesi – dice – legati da sempre al lavoro della terra, accettavano mal volentieri l’usurpazione del loro territorio demaniale a favore dell’ospedale Maggior di Palermo e soprattutto a favore degli amministratori fraudolenti degli eredi di Orazio Nelson. In quel tempo non è errato dire che esisteva un opprimente stato di vassallaggio che aveva provocato un animato desiderio di rivincita, nella speranza di poter riacquisire i beni perduti».
Ma, se sono noti a tutti i motivi che convinsero i Borboni a donare la Ducea Nelson all’ammiraglio inglese, che aveva avuto il merito di sopprimere la rivolta partenopea, perché questa, con tutte le sue terre e le rendite, prima apparteneva all’ospedale Maggiore di Palermo?
«Fu Papa Innocenzo VIII nel 1491 a donarla in feudo ai rettori dell’ospedale palermitano ai danni dei brontesi. Una donazione che provocò la reazione di questo popolo che intraprese una lotta gigantesca, ma impari, nel tentativo di riavere i beni e i diritti persi. Ne venne fuori una lunga contesa giudiziaria lunga 4 secoli che sfiancò la già povera comunità brontese, costretta a subire le usurpazioni e le ingiuste pretese avanzate dall’ospedale di Palermo».
E quando arrivò Nelson la situazione cambiò?
«Assolutamente no. La lite giudiziaria continuò anche contro gli eredi di Nelson, ovvero i Nelson-Bridport. Anzi la voglia di riscatto delle terre si inasprì e con essa le tensioni sociali, fino a sfociare nei fatti del 1860. Già nel 1820, nel 1848 e nel 1849 si verificarono dei moti rivoluzionari con l’obiettivo di riavere l’immenso patrimonio terriero della Ducea e soprattutto quei beni demaniali che la ducea aveva con frode annesso».
Allora l’arrivo di Garibaldi che prometteva lo smantellamento dei latifondi e la spartizione delle terre doveva rappresentare il momento del riscatto. Perché non fu così?
«Perché Garibaldi non riservò ai brontesi lo stesso trattamento riservato, per esempio, ai palermitani che ebbero restituito il feudo di Bisaquino, in precedenza donato dal re di Napoli ad un suo favorito; anzi i presunti sobillatori della rivolta furono fucilati, onde evitare di compromettere i rapporti con il governo inglese rappresentato dagli eredi di Nelson. Ricordatevi che a Bronte, caduto il regime Borbonico, non solo non furono restituite le terre ai contadini, ma non fu neanche abolita la tassa sul macinato che penalizzava i più poveri».
È vero anche però che a Bronte prima dell’arrivo di Bixio si verificò un orrendo massacro. I rivoltosi uccisero 16 persone, fra quelli definiti “galantuomini” o i “cappelli”. Più che una lotta contro gli usurpatori è sembrata una guerra civile.
«Sì, perché quei civili, che godevano degli affitti dei terreni demaniali illegittimamente annessi dalla ducea, agli occhi del popolo erano concretamente il nemico, che privava i contadini di terre che, nel diritto medievale erano destinate a loro. Anni di tensione sociale avevano determinato la formazione di due partiti: quello dei “ducali” e quello dei “comunisti”. Fra i ducali c’erano i “cappeddi” che sostenevano la legittimità non solo dei possessi ma anche delle illecite annessioni di terre dei Nelson, mentre fra i secondi coloro che denunziavano l’indegna usurpazione. Se tutti i contadini erano uniti da una parte, non tutti i borghesi lo erano dall’altra».
Alla fine dalle ceneri della sanguinosa rivolta il prof. Vincenzo Pappalardo ne “L’identità e la macchia”, fa nascere la nuova coscienza di una Bronte unita.
«Pappalardo ha ragione. Il dibattito sulle radici del massacro che si sviluppò ha condotto i brontesi del tempo a discutere sulle loro fondamenta storiche, sviluppando il comune senso di appartenenza e di convivenza. Il capolavoro cinematografico di Florestano Vancini, le giuste considerazioni di Leonardo Sciascia e il Processo a Bixio del 1985, ebbero il merito di dare forza a quell’autocoscienza».
BRONTE. Mostre e spettacoli per ricordare 1860 e 1943
Estate di cultura a Bronte. La città del pistacchio ha dedicato i primi 10 giorni di agosto a 2 avvenimenti che hanno caratterizzato la storia della cittadina: i fatti del 1860 e il bombardamento del 1943. Per questo il sindaco, Pino Firrarello, ha pensato a una mostra e 7 spettacoli in altrettante serate agostane, dove ciò che accadde viene descritto anche attraverso il linguaggio della recitazione, della musica, del ballo e del cinema, coinvolgendo scuole, artisti ed associazioni brontesi, pronti a raccontare e raccontarsi, perché questi 2 momenti storici a Bronte sono ancora particolarmente sentiti, al punto da stimolare una produzione letteraria che sa di testimonianza e di ricerca di verità. «Abbiamo voluto – dice il sindaco Firrarello – caratterizzare le nostre serate estive, attraverso spettacoli di cultura e qualità, con artisti di sicuro valore e spessore, cui abbiamo chiesto di allietarci raccontando questi 2 episodi della nostra storia, in occasione dei rispettivi anniversari. Dal 29 al 10 agosto del 1860, infatti – continua il sindaco – si è verificato l’eccidio di Bronte, mentre il 4, il 6 e l’8 di agosto del 1943 Bronte fu pesantemente bombardata, registrando vittime fra i civili». Si comincia stasera alle 21, in piazza Spedalieri, con lo spettacolo “Cantu e ballu ppi la libertà”.
Fonte “La Sicilia” del 01-08-2010