La crisi industriale e lavorativa torna ad attanagliare il polo tessile di Bronte: il tribunale di Catania ha infatti accolto il ricorso della Diesel Spa avverso la sentenza del giudice del tribunale di Bronte, Giorgio Marino che aveva ordinato a Diesel di ritornare a produrre a Bronte non meno di 890 mila capi di jeans l’anno e per almeno 5 anni. Quest’ultima sentenza era stata emessa a seguito del ricorso presentato dal «Consorzio società manifatturiere», che lamentava una ingiustificata ed improvvisa riduzione delle commesse in misura così eccessiva da mettere in ginocchio l’intero comparto e provocare il licenziamento di tantissimi lavoratori. «La consistente e particolarmente significativa contrazione della produzione – si legge nella sentenza – a fronte della sensibile riduzione della domanda e della vendita del Made in Italy, non può considerarsi arbitraria e, di conseguenza, non può ritenersi sussistente una situazione di abuso giuridicamente rilevante. Pertanto, va revocata l’ordinanza del Tribunale di Bronte del 9 luglio». Il «Consorzio società manifatturiere» di Bronte, però, non si arrende e minaccia già di presentare un ulteriore ricorso: «Il tribunale di Catania – ha affermato Franco Catania, azionista di riferimento della Bronte jeans – ha soltanto creduto a quanto sostenuto dalla Diesel che, attraverso una relazione neanche giurata, ha prospettato una riduzione delle vendite che a nostro avviso va verificata. Per questo stiamo già presentando un ulteriore ricorso a casa loro, ovvero al tribunale di Bassano del Grappa. Siamo fiduciosi – continua – perché anche il giudice di Catania ha sancito il concetto che abbiamo diritto ad avere le commesse dalla Diesel, soltanto che ha creduto al fatto che in questo momento Diesel non produce e, quindi, non ha commesse da darci. Ma se si dimostra che non è così, rendendo pubbliche anche le vendite di Diesel, abbiamo buone possibilità di ribaltate nuovamente la sentenza. Comunque, almeno è sancito il principio che Diesel non può confezionare i capi dove vuole, ma se li produce deve farlo da noi». La sentenza ha gettato nello sconforto centinaia di lavoratrici e lavoratori tessili. Sul loro futuro, però, Franco Catania sembra fiducioso: «In questo momento – spiega – un consistente numero di dipendenti è sospeso dal lavoro, altri stanno lavorando con le commesse di altre firme che nel frattempo siamo riusciti a recuperare. Certo, rimpiazzare il lavoro di Diesel, che ha tagliato di colpo il 70% delle commesse, non sarà facile. Ai miei lavoratori dico però che nessuno verrà licenziato, nonostante le difficoltà». «Per ogni capo da noi prodotto – sottolinea Catania – Diesel ci paga meno di 10 euro, fornendoci un tessuto che ne vale meno di 5. Noi lo confezioniamo e lo consegniamo pronto per la vendita e, grazie a questi 10 euro incassati, diamo lavoro ad oltre 200 persone. Diesel poi vende ad oltre 200 euro a capo». A Bronte è cominciata la mobilitazione dei sindacati e dell’amministrazione comunale. Il sindaco Pino Firrarello è pronto a qualsiasi iniziativa che tuteli aziende e lavoratori: «E’ assurdo – sottolinea il primo cittadino – che un tribunale possa pensarla in maniera diversa da un altro, sovvertendo nei fatti l’esito di una sentenza su un problema così delicato. Faremo il possibile per tutelare le famiglie che vivono grazie al Polo tessile di Bronte». E i lavoratori rincarano la dose: «Vogliamo sapere se Diesel produce capi all’estero. In questo caso, è bene che il governo lo impedisca a tutte quelle aziende che si fregiano del marchio Made in Italy».
L. S. fonte “La Sicilia” del 15-10-2009